martedì 7 giugno 2016

L'ESTASI E IL DUBBIO

Dalla nota al verbo "spaccare".


Di Schüler, Angelo caduto, 2009. Matita su carta di 170 x 110 cm. Collezione privata.

Alberto affida alle note il racconto del suo mondo. Alcune sono brevissime, altre occupano decine di pagine; ognuna narra di un momento importante della sua vita. Questa è una parte della nota VIII-2 (quindi della seconda nota di pagina otto):

Accadde la mattina del giorno di Pasqua, nella camera dell’albergo di Fado Ligure (v. nota VII – 3), in cui erano andati a passare il loro primo fine settimana insieme.


Lui stava ancora sonnecchiando quando Rosa lo colse, come se fosse un biroccio, per la stanga del timone. Si deliziò al fresco contatto delle sue dita con la propria pelle e si stupì dei bacetti che lei, tenerissima, gli diede sulle palpebre ancora chiuse. Si sarebbe messo a far le fusa, lì, sull’uscio del sonno, non fosse stato per la lingua di Rosa che gli disegnò dapprima, leggera, il contorno delle labbra, per poi infilarglisi ardita in bocca, a cercar la sua, portandosi ancora dietro, appena sbiadito, il sapore del fritto indigesto (ibid.) che avevano mangiato la sera prima.
Alberto, conscio del proprio dovere di maschio, si pose all’opera, seppur con gli occhi cisposi e con scarso entusiasmo; si sentiva ancor nei garretti e tra le gambe le fatiche della notte, e avrebbe voluto, prima d’ogni altra cosa, bersi un caffè. Si stava muovendo con ragioneresco metodo, con buona lena ma senza troppo brio, quando d’improvviso Rosa, che fino ad allora si era limitata a boccheggiare sotto le sue spinte, si mise a gemere: dapprima debolmente, quasi il pigolio d’un pulcino, poi un poco più forte e più a lungo.
Alberto, grondante di sudore nell’aria salmastra del mattino, come un ciclista impegnato nell’ascesa di un colle pirenaico, capì d’esser prossimo alla sommità: dimenticò il raggio di sole, lasciato sfuggire da due assicelle della vecchia persiana, che fastidioso gli tagliava gli occhi, per mettersi a pedalare più forte e più in fretta.
Tra i gemiti di Rosa comparvero delle parole, indistinguibili, sussurrate con una voce roca, che sembrava le uscisse dal petto, o forse anche da più in basso: «…cami …cami».
Lui le prese come l’incitamento di un tifoso; si scrollò dalle reni l’ultimo velo di languore, liberò con un colpo di tallone la gamba destra dal lenzuolo che vi si era avvolto, si rizzò sulle braccia, fece un profondo respiro e si lanciò giù per la china a tutta velocità, mentre le dita di Rosa affondavano nei suoi lombi come artigli.
L’ululato di lei si alzò altissimo e acutissimo: «Spaccami. Spaccamiii!»

Alberto, di fronte a quella subitanea perdita di controllo si bloccò come se davanti agli occhi spalancati gli si fosse aperto un crepaccio: «Oddio… e mo’, cosa faccio?»

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