Poeta e letterato, cospiratore e logorroico.
Ajace Aniforo, in gioventù Ajace Megetovodo,
al secolo Giovanni Tagliabue, poeta e letterato, cospiratore e logorroico
(Pathitikos, 6 luglio 1776; Shorstrawby Manor, 6 novembre 1825). Nacque nella più piccola e
remota delle Hapaxos, da Alberto, commiseratese e vinaio, che in quei lidi s’era recato per avviare un commercio di
Retsina e spiriti con la madrepatria, e da Tormalina Leuconemonis.
Da lei,
poetessa e nipote di Sofocles Skorzianidis, il Pindaro della Hapaxos, ereditò
il talento e l’amore per l’Arcadia tanto evidenti già nei suoi primi
componimenti. Versi formalmente perfetti che, quando giunse a Commiserate per
completare la propria educazione, gli valsero l’ammirazione di molti e gli
aprirono le porte dei migliori salotti cittadini. Conobbe così Perseo Cavalli, che divenne suo
mentore e modello. Cavalliani sono anche i modi di Clito e Dito, tragedia che,
non rappresentata con grande successo nel gennaio 1797, rese Ajace celebre in
tutto l’Ontonese. Fama purtroppo accompagnata da un'altra che, se pure non ne
limiterà la carriera, gli renderà talvolta difficili le relazioni sociali;
pieno di amor patrio, accanito difensore del bello contro lo scempio del nuovo,
specie se con l’animo acceso da qualche bicchiere della Retzina paterna, pare
fosse in grado di parlare per ore. Ininterrottamente. In greco. Anzi,
nell’ostico dialetto delle Hapaxos. Una peculiarità che ebbe modo di
sperimentare Ippolito Pindemonte. Fu il celebre traduttore dell’Odissea,
infatti, che, dopo una serata passata in sua compagnia, nel salotto dei conti
Albrozzi (e la bella contessina Teotochia fu solo uno dei tanti amori, peraltro
non ricambiati, che costellarono la vita di Ajace), gli affibbiò il nomignolo
di Aniforo, Il non sopportabile. Avrebbe potuto essere, ad ogni modo, l’inizio
di una grande amicizia. Se solo Pindemonte non avesse lasciato le rive
dell’Ontona all’alba del giorno seguente per non farvi più ritorno. Spirito
acceso e lingua troppo pronta, che misero nei guai il poeta in più di
un’occasione. Tanto da costringerlo, dopo aver detto peste e corna di
Napoleone, in una serata di troppa Retzina, a lasciare Commiserate per trovare
rifugio, lontano dalla guarnigione francese, in un borgo dei selvaggi Colli
Laltresi. Qui, nonostante le rassicurazioni degli amici ontonesi, che gli
garantivano che non una parola di quanto aveva detto era trapelata, anche
perché nessuno l’aveva capita, Ajace diventato Aniforo, restò quasi un anno. Il
primo di tanti esili. Un’esperienza che condensò nel romanzo epistolare I dolori di un giovane letterato,
rivisitazione in chiave sciatalgica del Werther goethiano. Quando infine, sicuro di non rischiare
l’arresto, rientrò a Commiserate, Aniforo si mosse con molta più cautela. Si
suppone sia entrato a far parte dell’anti-illuminista Circolo degli Oscurati.
Di sicuro dedicò i propri versi a belle e appassionate fanciulle, seppur non
sempre giovanissime, come la
destinataria dell’ode All’amica
restaurata o Isadora Vacca- Cacini
sofferente d’ un callo, ma evitò d’occuparsi, perlomeno pubblicamente, di
questioni politiche. Tornò a farlo, stupito dalla risistemazione del cimitero
maggiore operata dalle autorità commiseratesi in ottemperanza, seppur tardiva,
all’ Editto della Polizia Medica che estendeva al Regno d’Italia gli effetti
del napoleonico Editto di Saint Cloud. Il carme Dei Colombari, in cui esalta l’elemento apollineo di questa
innovazione, contrapposto alla dimensione ovviamente ctonia del tumulo
tradizionale, costituisce il punto più alto di tutta la sua produzione poetica.
Al sol stan le ordinate lapidi / in
colonne e ben diritte schiere, sono tra i versi più celebri nella storia
delle lettere commiseratesi e, di certo,
i più intempestivi. Resi pubblici
nel novembre 1813, alla vigilia della sconfitta di Napoleone a Lipsia, fecero
di AjaceAniforo, alla caduta del Regno d’Italia, l’unico bonapartista
riconosciuto per tale in tutto il Commiseratese.
Riuscì a evitare l’arresto solo riparando in Svizzera.
Trascorse i suoi ultimi anni a Londra,
dedicandosi allo studio dei classici della letteratura ontonese, e in
particolare delle opere di Ludovico Bosso, della cui Commiserate Furibonda
avviò una traduzione. Non la completò perché lo colse la morte o, per essere
più precisi, Lord Shorstrawby. A letto, mentre Lady Shorstrawby, che pure lo
aiutava a pagare più mondani conti, stava offrendo conforto al suo spirito di
esule.
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