venerdì 3 giugno 2016

AJACE ANIFORO

Poeta e letterato, cospiratore e logorroico.





Ajace Aniforo, in gioventù Ajace Megetovodo, al secolo Giovanni Tagliabue, poeta e letterato, cospiratore e logorroico (Pathitikos, 6 luglio 1776;  Shorstrawby Manor,  6 novembre 1825). Nacque nella più piccola e remota delle Hapaxos, da Alberto, commiseratese e vinaio, che in quei  lidi s’era recato per avviare un commercio di Retsina e spiriti con la madrepatria, e da Tormalina Leuconemonis. 


Da lei, poetessa e nipote di Sofocles Skorzianidis, il Pindaro della Hapaxos, ereditò il talento e l’amore per l’Arcadia tanto evidenti già nei suoi primi componimenti. Versi formalmente perfetti che, quando giunse a Commiserate per completare la propria educazione, gli valsero l’ammirazione di molti e gli aprirono le porte dei migliori salotti cittadini.  Conobbe così Perseo Cavalli, che divenne suo mentore e modello. Cavalliani sono anche i modi di Clito e Dito,  tragedia che, non rappresentata con grande successo nel gennaio 1797, rese Ajace celebre in tutto l’Ontonese. Fama purtroppo accompagnata da un'altra che, se pure non ne limiterà la carriera, gli renderà talvolta difficili le relazioni sociali; pieno di amor patrio, accanito difensore del bello contro lo scempio del nuovo, specie se con l’animo acceso da qualche bicchiere della Retzina paterna, pare fosse in grado di parlare per ore. Ininterrottamente. In greco. Anzi, nell’ostico dialetto delle Hapaxos. Una peculiarità che ebbe modo di sperimentare Ippolito Pindemonte. Fu il celebre traduttore dell’Odissea, infatti, che, dopo una serata passata in sua compagnia, nel salotto dei conti Albrozzi (e la bella contessina Teotochia fu solo uno dei tanti amori, peraltro non ricambiati, che costellarono la vita di Ajace), gli affibbiò il nomignolo di Aniforo, Il non sopportabile. Avrebbe potuto essere, ad ogni modo, l’inizio di una grande amicizia. Se solo Pindemonte non avesse lasciato le rive dell’Ontona all’alba del giorno seguente per non farvi più ritorno. Spirito acceso e lingua troppo pronta, che misero nei guai il poeta in più di un’occasione. Tanto da costringerlo, dopo aver detto peste e corna di Napoleone, in una serata di troppa Retzina, a lasciare Commiserate per trovare rifugio, lontano dalla guarnigione francese, in un borgo dei selvaggi Colli Laltresi. Qui, nonostante le rassicurazioni degli amici ontonesi, che gli garantivano che non una parola di quanto aveva detto era trapelata, anche perché nessuno l’aveva capita, Ajace diventato Aniforo, restò quasi un anno. Il primo di tanti esili. Un’esperienza che condensò nel romanzo epistolare I dolori di un giovane letterato, rivisitazione in chiave sciatalgica del Werther goethiano.  Quando infine, sicuro di non rischiare l’arresto, rientrò a Commiserate, Aniforo si mosse con molta più cautela. Si suppone sia entrato a far parte dell’anti-illuminista Circolo degli Oscurati. Di sicuro dedicò i propri versi a belle e appassionate fanciulle, seppur non sempre giovanissime,  come la destinataria dell’ode All’amica restaurata o Isadora Vacca- Cacini sofferente d’ un callo, ma evitò d’occuparsi, perlomeno pubblicamente, di questioni politiche. Tornò a farlo, stupito dalla risistemazione del cimitero maggiore operata dalle autorità commiseratesi in ottemperanza, seppur tardiva, all’ Editto della Polizia Medica che estendeva al Regno d’Italia gli effetti del napoleonico Editto di Saint Cloud. Il carme Dei Colombari, in cui esalta l’elemento apollineo di questa innovazione, contrapposto alla dimensione ovviamente ctonia del tumulo tradizionale, costituisce il punto più alto di tutta la sua produzione poetica. Al sol stan le ordinate lapidi / in colonne e ben diritte schiere, sono tra i versi più celebri nella storia delle lettere commiseratesi e, di certo,  i più intempestivi.  Resi pubblici nel novembre 1813, alla vigilia della sconfitta di Napoleone a Lipsia, fecero di AjaceAniforo, alla caduta del Regno d’Italia, l’unico bonapartista riconosciuto per tale in tutto il Commiseratese.

Riuscì a evitare l’arresto solo riparando in Svizzera. Trascorse i suoi ultimi anni a Londra,  dedicandosi allo studio dei classici della letteratura ontonese, e in particolare delle opere di Ludovico Bosso, della cui Commiserate Furibonda avviò una traduzione. Non la completò perché lo colse la morte o, per essere più precisi, Lord Shorstrawby. A letto, mentre Lady Shorstrawby, che pure lo aiutava a pagare più mondani conti, stava offrendo conforto al suo spirito di esule. 

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